PALESTINA E’ IL MONDO
per un sostegno incondizionato alla resistenza palestinese
Gli eventi drammatici che sono seguiti all’iniziativa della resistenza palestinese del 7 ottobre, il genocidio di massa operato dalla Stato israeliano sostenuto e finanziato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, hanno sollevato il velo sulla bestiale opera colonizzatrice con cui si sfrutta, si reprime e si incarcera la popolazione palestinese. Ha dimostrato, al contempo, che è possibile e necessario ribellarsi e che nonostante il regime di apartheid, il controllo militare di uno degli eserciti più armati del mondo e l’utilizzo dei coloni come truppe di avanguardia per occupare, uccidere ed espellere i palestinesi, non si è fiaccata la loro volontà di resistere.
Una gigantesca e vergognosa propaganda di guerra si è messa in moto per giustificare l’intensificazione dell’opera, già in atto da ben prima il 7 ottobre in forma diluita e costante, di genocidio, repressione ed espulsione dai propri territori della popolazione palestinese che è sotto gli occhi di tutti. Una propaganda che non ha risparmiato menzogne si è attivata per derubricare a “bestiale” atto terroristico la resistenza palestinese e l’iniziativa militare contro il dispositivo militare e civile che circonda la Striscia di Gaza per incarcerare la popolazione palestinese, che lì sopravvive sotto il totale controllo delle risorse vitali (acqua, elettricità, cibo) da parte israeliana.
Nei mesi precedenti all’iniziativa militare del 7 ottobre, un attacco senza precedenti dell’esercito israeliano e dei coloni aveva investito l’altro piccolo bantustan dove vengono schiacciati i palestinesi: la Cisgiordania. Morte e repressione sono state disseminate in quei territori per espellere i palestinesi costretti a vivere in piccole isole territoriali incomunicanti ed a dipendere dai permessi dei check point con tanto di dispositivi elettronici di riconoscimento facciale per poter accedere a quei pochi terreni che sono stati loro lasciati od uscire dalle proprie case per procurarsi da vivere. Mentre si è incrudita la repressione e le uccisioni, moltiplicati gli arresti “amministrativi” con cui Israele può in qualsiasi momento incarcerare civili, manifestanti palestinesi senza alcuna giustificazione formale. Si sono riempite le galere di giovani, donne ed adolescenti, veri e propri ostaggi e utilizzati come deterrenti verso le proprie famiglie e chiunque voglia contestare la colonizzazione.
Questa offensiva militare e politica è stata operata da Tel Aviv ma diretta da Washington che a scala internazionale si è mossa per isolare e cancellare definitivamente la questione palestinese con i cosiddetti accordi di Abramo. Con tali accordi si ri-disegna il ruolo centrale di Israele in tutta l’area come avamposto militare ma anche economico in grado di garantire al consesso degli stati occidentali gli affari ed il controllo delle risorse petrolifere (e non solo) dell’intera area. Prima ancora che un progetto del sionismo “estremista” il rilancio del progetto di un “Grande Israele” in salsa “moderna” nasce nelle cancellerie occidentali vista l’urgenza di rispondere agli insuccessi siriani ed al rischio di perdere la presa ed il controllo dell’area. In funzione di ciò si intendeva cooptare definitivamente antichi partner come l’Arabia Saudita (tentati dalla cooperazione economica dei paesi appartenenti del fronte dei Brics), l’Egitto e la Giordania nel campo della guerra contro Stati e popolazioni “canaglia” (Iran, Russia, Cina etc).
Un’operazione che cancella da qualsiasi agenda anche le false promesse ed accordi, che nel corso degli anni, avevano sbandierato la soluzione di 2 popoli e 2 Stati e disegna sulla pelle e sul sangue dei palestinesi e degli sfruttati dell’area un “ordine” mediorientale garantito da Israele.
Non a caso l’offensiva diplomatica, che lasciava ad Israele il lavoro sporco sul campo, ha lasciato il posto alle portaerei americane quando l’imperialismo ha dovuto prendere atto di aver fatto i conti senza l’oste e temuto una risposta militare allargata dal Libano, allo Yemen ed ovviamente dall’Iran. E non solo. In realtà la profonda minaccia a questa guerra mascherata da pace, con cui si sacrifica un intero popolo è che essa venga contrastata dalla tenuta della resistenza delle masse palestinesi e della mobilitazione di quelle arabe, musulmane stanche della repressione, dello sfruttamento senza fine che ne espropria risorse e le condanna alla sottomissione. Un potenziale che va ben al di là delle intenzioni di quegli Stati arabi, a cui queste masse chiedono conto, sempre pronti al “compromesso” ed a interagire con i piani imperialisti. Un potenziale che può andare oltre anche l’ “asse della resistenza” che sta ostacolando questi piani e che i palestinesi vedono, a ragione oggettiva, come un concreto strumento per contrastare la loro definitiva cancellazione. Fatto sta che la “normalizzazione” medio-orientale non procede tranquillamente come previsto dalle centrali imperialiste.
La resistenza palestinese sta combattendo questa normalizzazione e lo Stato di Israele che è strumento storico e profondamente integrato alle esigenze dell’imperialismo occidentale e da questi è mantenuto in vita e finanziato. Fin dalla sua nascita la sua esistenza è fondata sull’espropriazione dei territori palestinesi, sulla rapina diretta e brutale degli insediamenti coloniali. La funzione di hub tecnologico e tecno militare che costituisce il suo incipit economico “moderno” e che ruota intorno al suo esercito di occupazione è per il 90 per cento sostenuto dagli Stati e dalla finanza internazionale allo scopo di mantenere l’ordine nell’area. Senza questi finanziamenti si dissolverebbe rapidamente il suo tessuto economico e la stessa ragione sociale su cui si costruisce il patto (antipalestinese) che lo sostiene e che tiene insieme i proletari (i coloni) a cui si promette terra ed i giovani delle start up dei centri tecnologici e dello sviluppo degli strumenti di cyber sicurezza. Ed anche i progetti di sfruttamento delle risorse naturali locali, hanno il chiaro intento strategico di contribuire (in piccola parte) alla guerra in corso per il controllo delle materie prime nell’intero mondo.
In sostanza Israele costituisce nell’area la pedina in loco con cui l’imperialismo tenta di normalizzare il mondo. Le profonde ristrutturazioni economiche e tecnologiche con cui si sta tentando di contrastare la crisi di valorizzazione del suo sistema di sfruttamento ed irreggimentare gli sfruttati anche in occidente sotto una dittatura totale del capitale ben si combinano con la predazione diretta e violenta dei paesi del terzo mondo, alla rapina delle loro risorse. Ne sono una faccia complementare e necessaria laddove la predazione “indiretta” attraverso la supremazia finanziaria e tecnologica si scontra contro una diffusa resistenza. La lunga fase neo-liberista ha rotto ulteriormente le frontiere del mondo e centralizzato come non mai prima nelle mani di pochi Stati e tecnocrazie economiche e finanziarie le risorse ed il lavoro dell’intera umanità, ma ha anche seminato i germi diffusi della reazione soprattutto nei paesi dove questa predazione è stata diretta e violenta. L’imperialismo non ha mai cessato di operare con genocidi guerre e distruzione verso chiunque si opponesse alle sue necessità. Una lunga catena di interventi dall’Iraq, alla Libia, alla Siria ha accompagnato la sua espansione globale. Ma oggi l’imperialismo in crisi e la “cricca di Stati” che governa il mondo non possono accettare che si contrapponga al loro dominio la benchè minima ribellione, anche quella dei paesi che vorrebbero affacciarsi al mercato capitalistico internazionale richiedendo che una parte maggiore dei profitti rimanga a casa propria come la Russia e la Cina. Non hanno esitato sotto la direzione di Washington a scatenare una guerra in Ucraina contro la Russia per questo scopo si preparano ad estendere l’attacco alla Cina, dichiarando apertamente che l’ordine in medioriente è necessario per indirizzare risorse ed armi verso il Pacifico.
La questione palestinese è dunque un tassello di questa guerra permanente. Palestina è il mondo. L’iniziativa della resistenza palestinese segue le rivolte nel Sahel ed in Africa e una una nuova risposta anticoloniale all’ordine economico e sociale che dispiega la sua barbarie a tutte le latitudini. In occidente gli strumenti del controllo sociale, della digitalizzazione della vita, della ristrutturazione tecno industriale stanno schiacciando ulteriormente l’esistenza degli sfruttati e l’intera società. Si costruisce un controllo invasivo tecnologico tentando di rendere le nostre vite pure appendici individuali del sistema di sfruttamento, il cui solo scopo sociale è sempre di più quello di sostenere il dio supremo del profitto, sotto la guida di algoritmi ed “intelligenze artificiali”. Le emergenze permanenti sono il mantra quotidiano con cui si giustificano repressione e controllo. Ma non si rinuncia al vitale tentativo di cooptare il “gregge” di individui intorno alla difesa dei privilegi derivanti dalla rapina imperialista, per quanto questi vantaggi siano in relativa (rispetto ai paesi sfruttati) picchiata, in vista di ulteriori passaggi di questa guerra.
Per questo motivo l’attuale conflitto in Palestina è gestito e praticato come uno scontro mondiale e non si lesinano armi, violenza genocida di massa, portaerei e chiamate alle armi contro il pericolo dell’estremismo barbaro che mina la “nostra civiltà”. Si gettano alle spalle, nei fatti, le formali e false promesse di “pacifica” gestione della questione palestinese e si accompagnano le forniture di bombe e supporto militare allo Stato di Israele con la spudorata apologia del “diritto di Israele a difendersi”, dell’ideologia sionista e del suo risvolto pratico colonizzatore e genocida. Si cerca di imporre a qualsiasi voce che si leva in sostegno della lotta palestinese la dissociazione dalle sue direzioni politiche e militari e nella sostanza dalla loro resistenza.
Proprio nel momento in cui la resistenza palestinese ha per necessità ribadito l’ impossibilità di convivere con la “pace” di morte e sottomissione a cui la popolazione è sottoposta, ha inferto un colpo militare e politico senza precedenti ad Israele ed all’imperialismo, un coro di distinguo e perplessità attraversa alcune fila dei cosiddetti solidali e pacifinti. Riecheggiando la propaganda ufficiale si attribuisce ad Hamas ogni sorta di colpa ed addirittura la responsabilità di aver provocato la reazione genocida di Israele, USA ed Europa con un atto sconsiderato o concordato con il nemico. Come se la “soluzione finale” contro i Palestinesi non fosse già in atto, come se Hamas fosse un corpo estraneo alla volontà del popolo palestinese, come se la stessa iniziativa del 7 ottobre non fosse concordata con tutte le forze politiche e militari ad eccezione del Governo “complice” dell’Autorità Palestinese.
Come ben sanno genocidi e criminali democratici la “soluzione finale” si può ottenere solo fiaccando e distruggendo oltre che la resistenza organizzata la volontà del popolo palestinese di rifiutare sottomissione e deportazione. La vera colpa di Hamas è quella di rappresentarne in questo momento lo spirito e la decisione di ribellarsi. Per questo si usano bombe di 2000 libbre e si massacrano in massa donne e bambini, le une e gli altri ritenuti giustamente (dal punto di vista degli oppressori) “colpevoli” e consapevoli di non voler accettare la propria sorte. Tutti possibili futuri “terroristi”, ovvero combattenti.
Ma coloro che per l’ennesima volta si rifugiano nell’astensione, nel “né con gli uni, né con gli altri”, rivendicando la denuncia della pari disumanità dei contendenti e le pari retrograde credenze religiose, non fanno altro che dare una mano alla repressione. Secondo la loro superiore ed universale umanità occidentale esiste la soluzione infallibile che per i palestinesi è quella di accettare il proprio disumano destino per evitare l’”inconveniente” degli omicidi e massacri di massa. Il collaudato principio dei solidali con gli oppressi solo quando questi sono vittime e non reagiscono (o non reagiscono secondo le nostre “civili” ed “avanzate”modalità). In realtà nessuna pace o soluzione per la “questione palestinese” è prevista dall’imperialismo se non, nella migliore delle ipotesi, un regime di ulteriore schiavizzazione e controllo. E se non fosse per la loro resistenza armata, le mobilitazioni delle masse arabe, la potenziale e già attiva partecipazione al conflitto dell’”asse della resistenza” la soluzione finale andrebbe avanti senza sosta e nell’oblio.
Dunque, al contrario di quanto propagandato la resistenza dei palestinese è tutt’altro che cieca e barbara. Ha evitato che passasse senza che nessuno fiatasse la normalizzazione prevista dall’imperialismo, ha riacceso interesse e mobilitazione nel mondo arabo ed ha rimbalzato anche qui in occidente la questione.
Per fortuna nonostante i mille distinguo un diffuso movimento di sostegno alla liberazione della Palestina e contro la reazione genocida si è manifestato anche nelle nazioni occidentali. Promosso dalla diaspora palestinese ed innervato dalla presenza degli immigrati ha coinvolto anche una parte di solidali occidentali. Nonostante la martellante propaganda filo sionista, le menzogne di guerra e la repressione, che in maniera più o meno diretta colpisce chiunque si dichiari a favore della resistenza palestinese, sta contrastando una facile gestione della vicenda. Ha coinvolto anche sezioni giovanili che in parte si schierano apertamente per la lotta di liberazione senza anteporre distinguo. Mentre se pur piccole avanguardie di lavoratori, nella maggior parte immigrati, hanno dato luogo ad iniziative di boicottaggio dell’invio di armi.
Si tratta sicuramente di poco rispetto al livello dello scontro e della mobilitazione radicale di cui ci sarebbe bisogno per tagliare le unghie all’operato degli Stati occidentali ed in questo modo disarmare e mettere in ginocchio lo Stato israeliano. Dando, così, un contributo realmente decisivo alla lotta contro l’oppressione dei palestinesi ed un colpo all’ordine globale.
Si tratta però di un segnale di come sempre di più le contraddizioni della società globale del controllo e dello sfruttamento, il capitalismo onnipotente della finanza e della tecnologia e delle armi sofisticate può essere messo in difficoltà proprio laddove sembra invincibile e di come la reazione dei popoli sfruttati possa essere la punta avanzata in grado di riportare nel dormiente occidente la necessità di mettere in discussione il suo dominio globale.
La resistenza palestinese dunque è parte integrante della nostra lotta contro il sistema capitalistico, mette alla prova la capacità nostra, e di coloro che sono insofferenti agli effetti asfissianti e devastanti di questo dominio, di raccoglierne il significato di rottura rinunciando una volta per tutte alla nostra spocchia e presunta superiorità occidentale.
Da piccolo drappello di militanti è quello che con umiltà stiamo cercando di fare in perfetta continuità con la battaglia contro il disciplinamento pandemico che abbiamo sempre visto come un capitolo di un oppressione internazionale.
In questo ci stiamo già caratterizzando come rete con pochi e per noi decisivi punti nel movimento presente e, laddove possibile, con nostre attività:
- il sostegno incondizionato alla resistenza palestinese
- la denuncia del nostro Stato e dell’Imperialismo occidentale come mandanti dell’oppressione del popolo palestinese ed il boicottaggio del suo operato
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