LOTTARE CONTRO REPRESSIONE ED IL SUO INASPRIMENTO ATTRAVERSO IL DISEGNO DI LEGGE 1660 RICOMPONENDO ED UNENDO LA LOTTA DEL PROLETARIATO
Sulla natura di classe del ddl 1660 non vi sono dubbi. Esso è una misura che si inquadra in una politica più ampia di crescente stretta repressiva.
Il disegno di legge, già approvato dalla Camera dei Deputati, passa ora all’esame del Senato, e la sua eventuale approvazione renderebbe criminale qualsiasi mobilitazione sociale, sindacale e politica con pene durissime per i picchetti operai, blocchi stradali, manifestazioni non autorizzate, occupazioni di case, ecc., e inasprirebbe anche le sanzioni per le semplici parole e discorsi che esprimono dissenso, opposizione e resistenza.
Nel frattempo, divieti e criminalizzazione a chi si oppone alla Stato e alle sue politiche liberticide e guerrafondaie, giungono puntuali come il recente divieto alla manifestazione nazionale in solidarietà alla lotta del popolo palestinese e alla sua resistenza promossa dalla comunità palestinese in Italia per il 5 di ottobre a Roma.
Il governo italiano in sintonia con quelli dell’Occidente allargato, il comune strumento militare della NATO e quello della UE, stanno alimentando una guerra in Europa con il sostegno di ogni tipo al regime ucraino con l’obiettivo di portare allo sfinimento la Russia e poterla finalmente sottomettere ai propri diktat. Contemporaneamente, nonostante piccoli distinguo di pura facciata, continuano a sostenere l’aggressione dello stato d’Israele contro Gaza e contro tutta la Palestina e sono pronti a sostenerlo anche nel caso che riuscisse a estendere la guerra a Hezbollah e all’Iran, colpevoli di sostenere la resistenza dei palestinesi.
I mass media, finanziati da quella stessa classe padronale dominante di cui sono espressione quei governi e le istituzioni di quegli stati, mettono in mostra il loro servilismo che non esita a presentare una narrazione completamente rovesciata della realtà in cui i lupi diventano agnelli. Un continuo stravolgimento dei fatti e invenzioni pure e semplici, allo scopo di creare consenso alle politiche guerrafondaie e imperialiste.
Ma nonostante i loro sforzi immani di travisare la realtà e una informazione da vero e proprio regime autoritario, emerge con prepotenza la convinzione e la consapevolezza che i veri aggressori e i veri promotori della guerra in Ucraina come in Palestina sono i regimi occidentali, attraverso i loro ascari locali, allo scopo di assecondare la crescente sete di profitti e lubrificare il meccanismo di estorsione imperialista su un mondo che inizia, con sempre maggiore evidenza, a ribellarvisi.
Al crescente militarismo e alle politiche guerrafondaie, si associa inevitabilmente un aumento del ricorso agli strumenti repressivi e alla criminalizzazione di ogni dissenso che denuncia e lotta contro questo clima di forzata unione sacra che si pretende di instaurare per via autoritaria.
Chi contesta la narrazione dominante sulle cause della guerra in Ucraina viene automaticamente catalogato come un alleato della Russia e del dittatore di turno, così come chi smaschera il genocidio in atto in Palestina viene immediatamente classificato come antisemita e difensore del terrorismo, non diversamente da quanto avvenuto durante la presunta pandemia da Covid contro chi contestava la criminale politica della sua gestione sanitaria e militarizzata, immediatamente definito complottista e terrapiattista.
Ed, esattamente come già sperimentato durante la vicenda pandemica, si scatena la repressione contro chi non accetta di subire passivamente queste montagne di falsità, contro chi si mobilita per contrastare gli inauditi crimini contro l’umanità di cui si stanno macchiando i governi occidentali mascherandosi da portatori della civiltà e difensori della pace. Nuovi e fantasiosi generi di reati vengono elaborati dalle istituzioni statali, nuovi strumenti repressivi sono messi in atto per intimidire e colpire chi dissente, nuove e più rigide misure vengono adottate per censurare sui social chiunque si discosti dalla verità ufficiale e per trasformarli in veicoli esclusivi di questa verità a disposizione solo di chi la condivide. L’obiettivo unificante di questa politica è di impedire che l’opposizione contro la guerra si rafforzi, si estenda e si traduca in azione di protesta di massa. E anche per impedire che prenda forma e consistenza un conflitto di classe contro le misure economico-sociali che tutti i governi stanno implementando per rendere le economie funzionali alla guerra che diviene sempre più incombente per evitare che l’intero mondo si ribelli alla piena subordinazione ai profitti delle multinazionali e degli stati imperialisti.
E guerra significa certamente militarizzazione dei gangli vitali della società; i gangli in cui si produce e si realizza plus-valore (dalle fabbriche alle catene di vendita e distribuzione delle merci), quelli in cui si espletano funzioni sociali vitali collettive (trasporti, igiene ambientale, sanità, ecc), quelli in cui si concretizza la trasmissione dell’ideologia dominante (scuola e media in primis). Ma soprattutto quelli in cui si potrebbe determinare una convergenza fra settori proletari autoctoni e immigrati che minerebbero alla radice l’egemonia imperialista nelle proprie metropoli/cittadelle, già devastate da contraddizioni inaudite. È solo attraverso un approfondimento di un simile potere che il Capitale può sperare di continuare a esercitare la sua feroce dittatura democratica. In tempi di guerra le libertà sociali e culturali sono semplicemente un lusso che i circoli dominanti non si possono permettere.
Come lavoratori e attivisti del SOL Cobas dichiariamo il nostro impegno a mobilitarci, a partire dai luoghi di lavoro, dalla contraddizione strutturale e centrale tra Capitale e forza lavoro, contro l’azione repressiva dello stato ed il suo inasprimento attraverso l’approvazione di questo nuovo disegno di legge 1660, degno erede del vegeto codice fascista Rocco, atto a garantire alla classe padronale, la sua dittatura democratica borghese. Un impegno, quindi, a contendere al nemico il potere di decidere sulle nostre sorti, lavorando per la ricomposizione e l’unità della classe proletaria attraverso una strada realmente percorsa dal basso, che investa luogo di lavoro per luogo di lavoro, territorio per territorio.
Per questo riteniamo fondamentale inquadrare la mobilitazione contro il DL 1660 nell’insieme della politica di guerra e di oppressione di classe qui, nei paesi imperialisti, e sul resto del mondo. Questo è l’unico modo per cercare di allargare il fronte di mobilitazione sia contro le politiche repressive che contro la guerra imperialista e le conseguenze economiche e politiche di essa sulle classi sfruttate. Siamo consapevoli che si tratta di una battaglia lunga e non facile, considerate le evidenti e profonde debolezze politiche e organizzative, accumulate dal proletariato in quasi un secolo. Uno scenario in cui il dissolvimento di un chiaro riferimento politico complessivo ha finito per legarsi, indissolubilmente, con una “internalizzazione delle logiche dell’accumulazione capitalista” da parte del proletariato occidentale, ma dalle quali, di per sé, non è immune nemmeno il proletariato immigrato. Questo settore di proletariato si è certamente distinto, ormai quasi da due decenni, per combattività e determinazione a combattere, ma è anche pronto ad adattarsi alle regole del gioco una volta raggiunta…l’integrazione al tenore di vita occidentale. Anche se la battaglia non è facile (a meno di ridurla a semplici manovre egemoniche nei piccoli ambienti combattivi esistenti…) va, però, assunta con il massimo impegno e determinazione, perché indispensabile per difendere la già precaria agibilità per i conflitti in corso e preparare un terreno politico favorevole per i conflitti che dovessero emergere a causa dell’incedere della militarizzazione del controllo sociale e dell’economia.
Per questo riteniamo, però, discutibile attribuire il DL 1660 a un governo reazionario. Il DL non è frutto del governo in quanto reazionario, ma in quanto agente (come tutti i governi progressisti d’Europa e la stessa progressista Commissione Europea) di politiche imperialiste e di disciplinamento sociale per prevenire e reprimere il conflitto di classe. Inserire distinguo del genere non ci guadagnerà la simpatia, se non effimera, di qualche democratico, né la protezione dei partiti democratici, che sono stati (e sono) anche su questo piano della repressione alla pari con i governi reazionari (il progressista Scholz incarcera chi esibisce simboli palestinesi, il progressista Starmer incarcera chi posta “retorica anti-establishment”, i progressisti del PD, 5S e AVS hanno supportato convintamente e ferocemente la politica repressiva di Draghi contro chi resisteva agli obblighi di ogni natura durante la pandemia, e l’elenco potrebbe continuare...).
Per lo stesso motivo ci sembra ugualmente discutibile il generico riferimento alle lotte ecologiche che rischia di mettere sullo stesso piano le coerenti lotte contro le grandi opere, l’inquinamento, la gestione dei rifiuti e dell’acqua, ecc. con lotte che di ecologico hanno solo il nome, mentre perseguono un’ulteriore devastazione di ambiente, vita e lavoratori per estrarre metalli e minerali per la transizione a energie chiamate ipocritamente rinnovabili, nascondendo questi piani dietro la lotta alla CO2, e, non a caso, con il pieno supporto di multinazionali, grande finanza, stati e istituzioni internazionali dell’imperialismo.