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Sull’arresto di Aldo Milani

Una risposta operaia alla repressione padronale

Sappiamo bene che è interesse dello Stato demolire il movimento di lotta, operaio e sindacale, nato nel settore della logistica e sviluppatosi attraverso la pratica di scioperi e picchetti che hanno arrecato un grosso danno ai profitti padronali. Sempre pronto alla
repressione poliziesca contro i protagonisti delle lotte e a sorvolare, invece, sull’«estorsione continuata e aggravata» ai danni degli operai da parte di “rispettabili” padroni in doppio petto, con mafiosi al seguito, che da decenni utilizzano il sistema delle cooperative per realizzare miliardi ed evaderne altrettanti.
Il loro obiettivo principale non è certo quello di difendere principi di giustizia e onestà, ma quello di utilizzare l'arresto di Aldo Milani, per smantellare un ostacolo ai loro piani di realizzazione del massimo profitto. Piani ben precisi che passano per lo smantellamento delle conquiste storiche del movimento operaio (dall'attacco alla contrattazione nazionale, allo statuto dei lavoratori, al diritto di sciopero ecc) e per spianare la strada all’aumento e alla diversificazione delle forme di ricatto e precarizzazione estrema (incremento della massa dei soci-lavoratori inquadrati nelle cooperative, dei lavoratori pagati coi voucher, degli stagisti sottopagati, dei lavoratori al nero, fino al lavoro gratuito imposto ai rifugiati di guerra).
Poco ci interessa, quindi, soffermarci sugli aspetti poliziesco-mediatici della vicenda che ha investito Aldo Milani. Sappiamo solo che è un’operazione utile solo a infangare e attaccare un settore del movimento operaio, in maggioranza composto da lavoratori immigrati che, uscendo da una logica puramente difensiva, ha cominciato ad attaccare, conquistando riscatto e dignità, in un settore nevralgico per il sistema produttivo locale, rischiando di diventare un esempio vivo per milioni di sfruttati schiacciati dalla crisi capitalista.
L’invito di Questura e Magistratura, rivolto agli imprenditori, per farsi avanti e denunciare altri casi di sindacalismo conflittuale, è una prima chiara dimostrazione dei loro reali intenti: attaccare gli scioperi e i picchetti, trattandoli come ricatto ed estorsione verso i padroni.
Respingere questo disegno repressivo è possibile solo con l’estensione della lotta: 1) unendo i lavoratori, esercitando lo sciopero su scala sempre più ampia; 2)rompendo con le compatibilità e la pace sociale funzionale ai processi di accumulazione capitalista; 3)superando qualunque forma di delega assoluta, per tentare di praticare, invece, un percorso di autorganizzazione e di unità dal basso, capace di fronteggiare la guerra più complessiva che il nemico di classe conduce quotidianamente contro i proletari nei luoghi di lavoro su scala planetaria.
Allo stesso tempo, non possiamo rinunciare a criticare la condotta politica di Aldo Milani che, a nostro parere, ha commesso il grave errore di sedersi da solo a quel tavolo(insieme a chi fa dello sfruttamento dei lavoratori la sua fortuna), senza che fosse partecipe nessun operaio coinvolto nella vertenza.
Un errore che, nel tempo, di pari passo con la crescita di influenza del SI.Cobas sullo scenario sindacale nazionale, si è ripetuto varie volte, talvolta portando ad accordi sindacali assai discutibili.
Di questa condotta sbagliata pensiamo, da tempo, che siano principali responsabili Aldo Milani e la direzione del SI. Cobas, colpevoli di pensare e muoversi come se l’organizzazione degli operai in lotta fosse…LA LORO organizzazione.
Una prassi che produce errori e contraddizioni, che alla lunga mina l’unità e, cosi come recentemente accaduto, produce divisioni in seno a un movimento che, invece, ha assoluto bisogno di riconoscersi sotto la bandiera unitaria dell’autorganizzazione operaia per affermare senza indugi che “l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi”, o non ci sarà mai!
 

SOL COBAS                                  www.solcobas.org

 

Milano, 4 febbraio 2017

 

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